E così noi si è andati a Santiago de Compostela.
Eravamo pochi.
Eravamo tanti.
Abbiamo impiegato tanto tempo.
Potevamo mettercene di più.
Magari meno.
In questi casi il tempo “giusto” è solo dentro noi.
I luoghi comuni vogliono che si parta in tanti e si arrivi in pochi...selezione naturale la chiamano.
Noi siam partiti in 3...all’arrivo ci si contava in 23.
Nessun parto inaspettato lungo il tragitto, solo amici che da Milano ci hanno raggiunti, per compiere assieme gli ultimi 120 km di Cammino.
Sveglie sempre troppo presto.
Pasti veloci, menu luculliani, salami fluorescenti.
Palestre affollate, tornei in notturna, garage che mai avresti detto così accoglienti, camerette e camerate.
Passi assonnati, passi veloci, passi lenti, passi ritmati, passi...comunque passi, verso una meta che ne vale la pena.
Verso Santiago de Compostela.
Nome che sa di antico, che profuma di passi, ora stanchi, ora pieni di vigore.
Nome che pesa di vento, che parla mille lingue, che ha il freddo della montagna e il caldo delle mesetas.
Nome che fa eco nel cuore, che racconta di incontri, parole, silenzi.
Nome che chiama.
E ha chiamato noi.
Dalla minuscola Roncisvalle.
Dalla caotica Sarria.
Fino alla grande cattedrale.
Da parte a parte, pellegrini come spade, che trafiggono, lasciando il segno.
Un cammino come vita, qui però non si conta in anni, ma in chilometri.
Un cammino iniziato conoscendo volti nuovi, finito al fianco di chi da anni con noi cammina, in un quotidiano che ha del miracoloso.
Un cammino che raccontarlo è difficile, perché gli zaini sono ormai svuotati ma l’anima continua a rincorrere sensazioni che scorrono in noi.
Perché raccontare la prima partenza è come raccontare una nascita.
Perché parlare delle mesetas è come cercare di raccogliere il vento in un barattolo.
Perché dire dell’ostello di Granon è dire il primo bacio.
Perché descrivere la Cruz de Hierro è raccontare mille anni in un secondo.
Perché narrare la vista della pietra che dice “Santiago-100 km” è più di un epico poema.
Perché spiegare l’emozione del monte do Gozo è catturare la luna.
Perché cantare dell’arrivo a Santiago è il dire tutto di se.
Perché fare il Cammino è un augurio che facciamo a tutti voi.
L’augurio di essere pellegrini tra i pellegrini.
Pellegrini nella disabitata Manjarin, pellegrini nelle grandi Leon e Burgos.
Pellegrini sotto la pioggia della Galizia, pellegrini nel caldo delle Mesetas.
Pellegrini nella confusione di plaza de Obradorio, pellegrini nel silenzio del cammino di notte.
Pellegrini nella condivisione di Granon, pellegrini nel panino mangiato al fianco della statale.
Pellegrini delle frecce gialle.
Pellegrini degli zaini mai troppo leggeri.
Pellegrini sempre.
Pellegrini comunque.
Pellegrini di tempi e spazi.
Pellegrini di un perché intimo, portato sui sentieri.
Ascoltate quei luoghi che vi chiamano.
Prestate attenzioni a quelle emozioni che aspettano di vivervi dentro.
Prendetevi quel tempo.
Quello che vi auguriamo di avere.
Buon cammino.
Ultreya!
giovedì 13 settembre 2007
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